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Fare business con l'arte del restauro

di Paolo Bricco

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1 dicembre 2009
Vito Barozzi (Rocco De Benedictis)

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La storia di Barozzi è anche la storia di un Sud che contraddice se stesso, le sue abitudini ataviche, le paure che poi sono quelle di tutto il paese. Dopo avere preso, grazie a delle borse di studio, il diploma di perito elettronico, al mattino lavora nei cantieri, occupandosi di contabilità e mettendo le mani nella calce. Al pomeriggio, fa l'insegnante di laboratorio all'Istituto professionale di Altamura. A un certo punto, diventa perfino docente di ruolo. «Nel 1985 aprii una vera e propria azienda con alcuni amici - dice - e mi licenziai. Non stavo a posto con la mia coscienza. Mi sembrava di rubare lo stipendio. La preside, si chiamava Maria Gesualdi, la prima volta mi strappò la lettera di dimissioni. Mio padre, che per una vita aveva fatto il bracciante, ci rimase malissimo. Le mie sorelle mi raccontarono che gli era scappata anche qualche lacrima. Mi presero tutti per pazzo, a rinunciare al posto sicuro».

Ma, la sua, è anche la storia dell'amore e del contrasto fra il Nord e il Sud. La nostra storia. In questo caso, finita bene. «Ricordo che, a metà anni 60, la Cmc, la cooperativa romagnola, venne a costruire il primo mulino ad Altamura. Da noi, che avevamo il miglior grano del Mediterraneo e che ci vantavamo di avere il pane più buono. Era un'opera faraonica, realizzata da quelli del Nord. Ero un bambino. Un po' ci sentivamo espropriati», sottolinea Barozzi. Il problema vero, però, c'è quando, prima di focalizzarsi sul restauro, si dedica soprattutto ai lavori tradizionali, prendendo subappalti dalle grandi imprese del Nord. «Ci strizzavano come limoni - racconta - lasciandoci soltanto i soldi per la giornata». Anche se qualcosa di buono gli hanno dato: «Ho imparato molto. Prima, non sapevo fare il budget previsionale».

I primi dieci anni di attività, quando Barozzi fa sia il professore sia il muratore in aziende che lavorano spesso per i grandi gruppi settentrionali, sono quelli dello spegnimento di ogni speranza che il Sud potesse recuperare i suoi ritardi storici rispetto al resto del paese. Secondo la Banca d'Italia è proprio nel 1975, anno in cui Vito ha 18 anni, che s'interrompe il recupero del prodotto pro capite del Mezzogiorno rispetto al Centro Nord: dal 1951 ad allora, infatti, i valori percentuali a prezzi correnti erano saliti dal 49 al 60 per cento. Dal 1975, il rapporto smette di crescere e resta sotto quota 60 per cento. Questa stasi, fotografata dalle statistiche ufficiali, ha come contraltare di lungo periodo la scarsa produttività delle imprese meridionali, il cui divario rispetto a quelle del Centro-Nord è attualmente stimabile, secondo lo Svimez, in almeno 22 punti percentuali.

Per Barozzi la svolta, all'improvviso, arriva nel 1986, proprio sulla direttrice Nord-Sud: «La Crea era una media azienda di Forlì. In subappalto, compimmo il primo restauro nel municipio di San Fele, in provincia di Potenza. Un paesino di montagna. Accedere al cantiere era impossibile: la stradina era larga un metro e venti, portavamo a mano tutto il materiale. Furono molto contenti del nostro impegno. Con loro costruimmo un rapporto leale e generoso. I titolari garantirono per noi al ministero dei Lavori pubblici: così potemmo iscriverci alla lista delle aziende autorizzate a realizzare restauri. Lo fecero per aiutarci». Il gruppo di Forlì, senza guadagnarci nulla, permette dunque alla minuscola azienda di Barozzi di avere i requisiti giuridici con cui ottenere il primo affare diretto, senza mediazioni: il restauro del castello di Grottaglie. «Un lavoro da un miliardo e 200 milioni di lire. Fino ad allora, avevamo fatto cantieri da 50-70 milioni».

Da allora, la strada è tracciata. E, con un intervento che non ha soltanto un valore economico ma anche civile, arriva a riparare uno dei cuori bruciati del Sud. Fra il luglio del 2007 e il dicembre del 2008, la sua impresa ricostruisce il Teatro Petruzzelli di Bari, andato in fumo nella notte fra il 26 e il 27 ottobre del 1991, in una delle storie più brutte del nostro paese negli ultimi venti anni. Dopo quell'incendio, non era rimasto niente. Barozzi allestisce un laboratorio, in cui i maestri restauratori e i tecnici si mescolano a un centinaio di ragazzi selezionati dalle scuole d'arte. Dalla foto ottengono un disegno. Poi, il calco e quindi il manufatto. Fregi, maschere, decorazioni, palchi, palcoscenici e statue. Tutto viene rifatto.

«Oggi - ragiona Barozzi - il mercato italiano è maturo. Ci piacerebbe lavorare all'estero. Una delegazione moscovita, interessata al restauro del Conservatorio di stato Ciajkovskij, ha visitato per tre giorni il cantiere del San Carlo». In particolare, i russi guardano al mix italiano d'innovazione, artigianalità e manifattura: le nuove poltrone e i nuovi arredi del San Carlo sono fabbricati in maniera tale che non vengono più attraversati dalle onde sonore. Il suono li "rimbalza". Così, la qualità della musica è migliore. Scienza dei materiali, tecnologie, impianti, abilità tattile del restauratore-muratore, collaborazioni con gli atenei (le facoltà d'Ingegneria di Bari, Ancona e Roma e quelle d'Architettura di Venezia, Firenze e Reggio Calabria).

  CONTINUA ...»

1 dicembre 2009
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